Malpractice professionale, accusa, difesa avvocato penalista

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Malpractice professionale, accusa, difesa avvocato penalista

Per prima cosa è importante precisare che la medicina non è una scienza caratterizzata da risultati assoluti; 0% e 100% infatti non esistono. Accanto a tale dato occorre però evidenziare la esistenza di abusi e di atteggiamenti professionali che non trovano corrispondenza con la deontologia medica e con gli standard minimi di assistenza. Per definire questo ambito della medicina viene abitualmente adottato il termine malpractice sanitaria (o medica), nel quale si fanno confluire i concetti di abuso, di illecito, di negligenza, di imperizia.


La malpractice sanitaria (altrimenti conosciuta come malasanità) si verifica nel momento in cui un soggetto erogatore di servizio (azienda ospedaliera, medico, ecc) – non rispettando le linee guida minime per la assistenza specializzata – provoca danni o lesioni gravi e permanenti (o morte) al Paziente. Questi eventi – che spesso sono esclusivamente conseguenza della natura della patologia da cui il Paziente è affetto – in alcuni casi possono dipendere da una diagnosi non corretta o da una scelta terapeutica sbagliata/azzardata da parte del professionista sanitario.


La malpractice può infatti essere conseguenza di un disprezzo per l’etica e per la adozione di serie ed accurate misure di assistenza sanitaria, e si configura quando l’errore determina un effettivo danno al Paziente. Tale concetto ha pertanto una accezione notevolmente differente da quella di negligenza medica, che è invece definita come il mancato rispetto di determinati standard (spesso dovuto a disattenzione).


Quali sono gli errori diagnostici?
Alcune patologie sono difficili da diagnosticare, ed il medico può avere bisogno di spendere molto tempo e risorse prima di giungere ad una corretta diagnosi. Il Paziente non deve pertanto essere indotto a ritenere che – qualora una diagnosi non sia stata raggiunta – questo possa o debba necessariamente dipendere da una forma di negligenza o di errore medico.


È fondamentale però che, nell’ambito del percorso diagnostico, la struttura ospedaliera ed il professionista sanitario adottino tutti i criteri procedurali, di deontologia medica e di onestà intellettuale atti a ridurre gli errori. Infatti, ad una errata diagnosi spesso consegue un trattamento (farmacologico o chirurgico) sbagliato che, oltre ad essere probabilmente inefficace, può addirittura arrecare ulteriori danni e conseguenze cliniche al Paziente.


Il disegno di legge Gelli, la cui approvazione definitiva dovrebbe avvenire nei prossimi giorni,  riforma la disciplina della responsabilità professionale dei medici.
L’intervento legislativo è nato dalla necessità di far fronte al problema della cd. medicina difensiva. Infatti, negli ultimi anni i medici, con l’aumento esponenziale delle cause per responsabilità medica,  nel timore di azioni di risarcimento danni da parte dei pazienti, tendevano  a proporre cure alternative ad interventi chirurgici (medicina difensiva negativa) o a prescrivere numerosi accertamenti diagnostici, talvolta non strettamente necessari, con un grave appesantimento dei costi del SSN (medicina difensiva positiva).

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La novità più decisiva è quella inerente la nuova forma di responsabilità civile del medico. Il quale, accusato di malpractice, potrà rispondere solo per responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. senza che possa più invocarsi la responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c..


La differenza rileva sia  sul piano probatorio che ai fini della prescrizione.
Nella responsabilità aquiliana è invertito l’onere della prova, nella questione specifica diventa più gravoso per il paziente, che deve provare l’evento dannoso, la colpa del medico e il relativo nesso eziologico.


Prima della riforma, invece, era il medico che per discolparsi doveva dimostrare che l’inesattezza della prestazione non era conseguente a causa a lui imputabile.
Con la riforma scompare definitivamente la responsabilità contrattuale del medico derivante dal cd. contatto sociale per il quale, indipendentemente dal fatto che il medico prestasse la sua opera in una struttura ospedaliera, era tenuto al risarcimento del danno in virtù del rapporto personale e di fiducia con il paziente.


Ai fini della prescrizione, nella responsabilità extracontrattuale, l’azione si prescrive in cinque anni anzichè dieci.
L’art. 40 c.p. prevede che nessuno possa essere punito per un fatto previsto dalla legge come reato se l’evento, dal quale dipende l’esistenza dello stesso reato, non è la conseguenza della sua condotta. Si aggiunge, inoltre, che non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo (art. 40, 2o comma, c.p.).

In questo secondo caso, quindi, siamo di fronte ad un reato omissivo che può essere proprio od improprio. “Nel tracciare la linea di demarcazione tra le due forme di illecito omissivo, sono adottabili diversi criteri. Quello più tradizionale fa leva sulla necessità della presenza o non di un evento come requisito strutturale del tipo di reato.

Adottando tale criterio discretivo, sono definibili “propri” i delitti omissivi che consistono nel mancato compimento di un’azione che la legge penale comanda di realizzare.

Benché dall’omissione possano conseguire eventi indesiderati, all’omittente si fa carico di non aver posto in essere l’azione doverosa come tale, e non già di non aver impedito il verificarsi degli eventuali risultati dannosi connessi alla condotta omissive” (Fiandaca − Musco 2004, 527). L’accertamento del rapporto di causalità nei casi di responsabilità professionale colposa medica ha sempre posto particolari problemi interpretativi sia in dottrina che in giurisprudenza.

 
 
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